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A Rionero, procedendo lungo via Roma in direzione
Ospedale, prima di imboccare via Fiera si percorre un breve
tratto di strada di poche decine di metri intitolata a Michele
Granata. Qui, approssimativamente, dove sono gli edifici
contrassegnati dai numeri civici 6 e 8, nella seconda metà
dell’Ottocento e fino ai primi anni del Novecento c’erano due
locali che ospitavano un laboratorio per la produzione di
carbonato di potassio. Ne era titolare il signor Vincenzo Musio
che aveva creato un vero e proprio opificio per la produzione di
potassa che dava anche lavoro ad alcuni operai.
Musio otteneva l’estrazione di carbonato di
potassio dalla cenere con un metodo molto rudimentale. La cenere
veniva ottenuta bruciando i rami più giovani di alberi,
soprattutto faggi, dei vicini boschi di Ripacandida. Di qui,
raffreddata e chiusa in grossi cassoni, veniva trasportata a
Rionero dai trainieri e conservata al coperto. Un poco alla
volta, la cenere veniva raccolta in strati, a mano a mano
umettati, all’interno di botti che avevano il fondo con uno o
due fori; quindi veniva bagnata ulteriormente da adeguate dosi
di acqua e lasciata riposare fino a che tutta la lisciva fluiva
nel vaso di raccolta sotto la botte. A questo punto il materiale
ottenuto si lasciava evaporare in grosse caldaie di ferro fino
ad ottenere la potassa grezza che, infine, veniva venduta ai
negozianti rioneresi e dei paesi limitrofi che la smerciavano al
minuto.
La potassa veniva utilizzata per la fabbricazione
domestica del sapone dal grasso animale, soprattutto in tempo di
macellazione dei maiali.
La fabbrica di potassa di Vincenzo Musio era
molto conosciuta tanto da dare il nome al luogo dove era situata
(lu putássë) e alla fontana nel piazzale vicino (la fundána r’
lu putássë) da cui sicuramente attingeva l’acqua anche Musio e
che pare fosse alimentata da una diramazione di Fontana Maruccia.
Ancora oggi nei pressi di quel luogo, in via Nino
Bixio, il fontanino che ha sostituito la vecchia fontana è
chiamato comunemente “fontanino del potasso” e “via Potasso” è
il nome della strada che da via Michele Granata porta ai sedici
archi del ponte della ferrovia.